venerdì 25 ottobre 2019

cronache carcerarie da Pescara

Ancora notizie sulla Casa Circondariale/Reclusione di Pescara le cui condizioni sono lo specchio, al peggio, del sistema penitenziario italiano: un detenuto appena trasferito da un altro carcere e forse in crisi di astinenza, ha appiccato il fuoco e distrutto la cella nella quale era stato appena rinchiuso. Gli agenti, che lo hanno salvato insieme all’altro occupante della cella, intossicati dal fumo e con qualche ferita, solo dopo il cambio turno hanno potuto raggiungere il pronto soccorso per le cure con la prognosi di 7 giorni salvo complicazioni.

Normale cronaca carceraria, di uno dei tanti episodi di un quotidiano carcerario in cui i reclusi e il personale di sorveglianza vivono e a volte condividono le stesse condizioni e disagi; notizie che non fanno più notizia e che ruotano sulle solite argomentazioni del sovraffollamento, delle falle dell’organico della Polizia Penitenziaria la cui età media supera ormai i 50 anni. Ovviamente non mancano i richiami al troppo delinquere dimenticando però che qui in Italia, da qualche anno a questa parte, il numero dei reati è in costante calo.
Tutto vero, ma c’è anche altro di cui la cronaca carceraria non si occupa in quanto argomenti che riguardano gli addetti ai lavori: mancanza di supporto medico, psicologico e psichiatrico. Scarsi e più di facciata che di sostanza i percorsi di recupero che comprendono scuola, formazione, guida al lavoro e consapevolezza della cultura del lavoro, educazione civica e anche del vivere civile.
Un groviglio di diversa umanità in cui pietismo e finzione si supportano a vicenda e si alimentano in un’illusione che si rinnova di giorno in giorno. Aspetti questi che la pubblica opinione ignora completamente perché da fuori si continua a guardare al carcere come quel contenitore “che rassicura, perché chi è in carcere non può commettere reati…. E se i colpevoli stanno dentro noi, gli onesti, stiamo fuori…” (Gherado Colombo a Il Dubbio 23.10.2019) ma nessuno ricorda che la pena finisce e chi esce torna a delinquere andando ad alimentare quel circuito vizioso che in Italia è la recidiva.
Toccherebbe alla politica correre ai ripari, ma con un Ministro della Giustizia come l’attuale c’è poco o nulla da aspettarsi visto che ogni qualvolta gli si accenna al problema carceri e al suo sovraffollamento, la sua risposta immancabilmente è “nuove carceri. Costruiremo nuove carceri…”.
E allora cosa fare? È necessaria una presa di coscienza generale da parte dell’opinione pubblica che, con scarsa ideologia e molto pragmaticamente, deve essere informata, quindi sensibilizzata per dimostrare attraverso il normale quotidiano che il recupero di chi ha sbagliato non è così impossibile, ma è a portata di mano e nel suo piccolo, pur tra mille difficoltà, incomprensioni, paure, prevenzioni “Voci di dentro” è la conferma che il difficile è realizzabile. Basta volerlo, avere le idee chiare e saper scegliere la strada da percorrere nella consapevolezza che la strada giusta è sempre la più difficile, quella in salita.
Inutile, anzi dannoso illudersi e illudere. (Domenico Silvagni)

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