Tra i quattro detenuti ci sono anche io e perciò conosco bene la situazione e pertanto di fronte alla vista continua di questo esile corpo di anziano lasciato alla mercé di persone che non hanno strumenti per assisterlo, ho segnalato la sua condizione al personale di polizia penitenziaria, alla direzione penitenziaria e a quella sanitaria. Si sono subito attivati, è intervenuta anche l’area sanitaria ed è venuto in visita alla nostra cella lo stesso Garante dei detenuti professor Cifaldi.
Ma la situazione rimane tragica. A quasi due settimane dalle visite ufficiali nulla è cambiato: Nicola resta immobile nel suo letto, un vecchio uomo quasi trasformato in un utensile pensante “anima presente in terre estranee”. Io e gli altri tre detenuti (che ogni giorno siamo inevitabilmente costretti a subire anche i mali odori dovuti dalle sue incontinenze) ci prodighiamo ad assisterlo con il suo “piantone” (assistente alla persona sempre secondo la nuova terminologia imposta dal Dap).
Come può una pena detentiva divenire così cieca fredda e disumana? Credo che questa storia sia l’ennesima prova del fallimento di un sistema strutturale alla deriva che non schiaccia solo il diritto e i diritti delle persone detenute (visto che chi amministra è privo – ed è privato - di ogni strumento), ma anche di coloro, che in questo luogo, ogni giorno ci devono lavorare (il personale di Polizia Penitenziaria). A questo punto bisogna recepire la cultura della vergogna per recepire la cultura della dignità. Cioè bisogna indignarci per smettere di essere dignitari così da divenire dignitosi. Perché prima d’ogni cosa c’è la dignità e la libertà che non sono negoziabili.
Concludo citando Pietro Calamadrei: « ... il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della società umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo…La libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».
Rosario Lucarelli
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